ANGELO BARILE
Visioni, Illusioni e Allucinazioni
La mia appassionata e costante vicinanza al lavoro di Angelo Barile inizia alla fine degli anni Novanta quando venne a trovarmi, nella sede della Galleria VSV in via Vanchiglia, rivelandomi, dopo una lunga separazione seguita alla frequentazione adolescenziale nel quartiere torinese di Borgo Vittoria, di avere seriamente intrapreso un progetto d’artista indirizzato alla pittura.
L’artista, nel corso degli anni, con crescente successo ed affinamento sorprendente della tecnica e dell’intensità creativa, ha incarnato al meglio la ridefinizione del linguaggio della pittura che ha caratterizzato la stagione post-moderna, dimostrando la costante attualità di questa antica disciplina: dai Nuovi Nuovi, al “Medialismo” degli anni Ottanta e Novanta, per giungere alla predominanza attuale del neo-pop e della street art.
Essendo, sin dall’antichità remota, lo strumento mimetico per eccellenza, la pittura riesce a metabolizzare, con procedimento metamorfico, tutto quanto proviene dall’esterno, e sta riuscendo nell’impresa anche relativamente a strumenti come la fotografia, l’immagine digitale e, più in generale, tutto l’inesauribile armamentario di simulacri della contemporaneità.
La contemporaneità appare nuovamente come narrazione iconografica prevalente, ma sfumata in un atteggiamento evocativo di suggestioni che furono un tempo intense e nel “qui ed ora” si ripropongono come sfocate dalla consapevolezza e dal disincanto.
Quindi Angelo Barile è riuscito ad inserirsi agevolmente in un panorama nuovamente propizio per la pittura, dopo la battuta d’arresto linguisticamente inevitabile avvenuta durante la stagione concettuale, ad onta degli irriducibili che ancora la considerano pratica inadeguata ai tempi.
Il punto di partenza della ricerca iconologica di Angelo Barile è stato il mondo dell’infanzia e della prima adolescenza dove inquadrava, con dimensioni spesso assai ampie e spettacolari, volti ed anatomie di giovanissimi che volgevano uno sguardo di protagonismo e di ironica sfida nei confronti di interlocutori adulti la cui saggezza era ormai scalfita dalla dimensione liquida di una società sfuggente ed imprevedibile, banalmente competitiva, ed incapace di contemplare i volti, preferendo la visione delle maschere che di volta in volta si è costretti ad assumere per recitare il proprio ruolo.
A partire dalla fortunata prima serie l’arte di Angelo Barile si è espansa a trecentosessanta gradi, mescolando la low culture del fumetto e dello stereotipo pop, come scrivevo in un testo del 2015, con la dimensione della fiaba che, essendo una forma letteraria premoderna , in quanto tale può svolgere una importante funzione simbolica nella dimensione contemporanea, collegandosi alla sua punta avanzata della post-modernità, agevolando la narrazione della contemporaneità sul piano della simbologia e della citazione del passato, senza ricorrere ad un appiattimento sulla realtà e ad una dimensione naturalistica dell’immagine, la cui ironica e coinvolgente surrealtà, riesce a coinvolgere mentalmente ed emotivamente lo spettatore.
Quindi l’evidenza dell’immagine mediale ha via via lasciato il passo ad una pittura i cui personaggi sono legati alla mitologia, alla storia antica e rinascimentale, alla simbologia del sacro, ma non in una accezione aulica di rivalutazione al contemporaneo degli stilemi della pittura rinascimentale, barocca e neoclassica, di cui peraltro non sono mancati in Italia esempi di notevole interesse, basti pensare ad un autore recentemente scomparso come Carlo Maria Mariani, bensì con uno stile certo raffinato e tecnicamente ineccepibile, ma del tutto atipico, dove i volti, unificati dalla enfatizzazione degli occhi come specchio dell’anima, al pari delle anatomie, appaiono alieni da qualsiasi corretto tracciamento antropometrico, manifestandosi come anatomicamente schiacciati o parzialmente deformati od ancora ibridati con zoomorfismi e fitomorfismi , e spesso inquadrati in cornici finto-barocche. .
Un sistema assai efficace per esprimere un messaggio forte e diretto sui riti e miti annacquati e superficiali della contemporaneità accostati ai loro precedenti storici, per evidenziare la ciclicità della storia, ricorrendo ad uno stile in grado di accorciare e non accrescere la distanza con uno spettatore ormai stanco della deriva di un neo-concettuale epigono, inerte e privo di prospettive.
Significativo il connubio tra Angelo Barile e la nuova galleria torinese di Angela Calcagni e Claudia Converso, Studio 44, un nuovo ed ampio spazio nel pieno centro cittadino, che da subito ha rivolto lo sguardo alla ricerca underground ed a proposte artistiche originali e non conformi, ottenendo un immediato e meritato successo di pubblico.
In mostra viene presentata una significativa carrellata delle recenti ricerche dell’artista.
A partire dagli “Arcangeli”, oggetto di una fortunata esposizione del 2017, figure di mitici difensori della fede, al confine tra dogma e leggenda, calati nelle vesti di personaggi dell’immaginario attuale, rappresentati come ironici eroi di una epopea contemporanea, per passare a damigelle aristocratiche stravolte nelle loro anatomie da nuvole che ne velano il volto ed abiti tanto sfarzosi quanto complicati da indossare.
Saranno presenti anche opere bidimensionali e tridimensionali di una serie, quella definita come “Rabbit il male di vivere”, elaborata dall’artista durante la fase più oscura e critica della pandemia, dove il consiglio assume la veste simbolica dell’angoscia e dell’incertezza, ma anche la possibile chiave di volta per l’uscita da una situazione apparentemente priva di sbocchi.
Edoardo Di Mauro, marzo 2023.