HANIEH ESHTEHARDI
Risveglio
Seguo da alcuni anni il lavoro di Hanieh Eshtehardi, giovane iraniana diplomata all’Accademia Albertina, e la mia convinzione sulla qualità e serietà del suo lavoro sta conoscendo crescenti conferme.
Hanieh, da anni residente in Italia, rappresenta la componente cosmopolita ed aperta al mondo del suo paese, come era millenaria tradizione della storica Persia, prima che l’avvento del regime khomeinista, che molti aveva illuso nel lontano 1979 sulla bontà delle sue intenzioni, adottasse, in nome di una discutibile interpretazione del verbo islamico, una politica di repressione e privazione delle libertà individuali, soprattutto nei confronti delle donne.
L’arte di Hanieh Eshtehardi ha conosciuto due fasi di sviluppo, apparentemente diverse, in realtà intimamente collegate, portatrici di una ricerca pittorica di estrema raffinatezza formale.
Come ebbi modo di scrivere in occasione della sua prima personale a Torino presso la Galleria del Museo d’Arte Urbana, tale raffinatezza è erede della grande tradizione iconografica persiana, dove la meticolosità del lavoro è sinonimo di adesione spirituale ai valori dello stesso.
Le opere della prima fase di ricerca, che sarà possibile ammirare anche in questa ampia personale presso la Galleria Spazio 44 di Angela Calcagni e Claudia Converso, indagano la condizione femminile e l’ossessione per l’immagine e la cura del corpo.
Una delle ultime propaggini dell’avanguardia novecentesca è stata, negli anni ’70, la “body art”, disciplina in cui il corpo si liberava dai vincoli in cui era stato ingabbiato per lunghi secoli e dalla cui sudditanza non era stato pienamente emancipato dalla società capitalista, e riscopriva sé stesso come elemento comunicante ed autonomamente “artistico”, andando a fondersi empaticamente con l’esterno e l’altro da sé a partire dalla propria condizione di consapevolezza interiore.
Hanieh Eshtehardi ha realizzato, con attenzione ai particolari ed ai dettagli, ritratti di uomini e donne delle classi altolocate, rappresentati riprendendo la tecnica delle opere originali risalenti ai secoli diciassettesimo e diciottesimo, intervenendo sui volti e corpi dei soggetti raffigurati, modificati con immagini anatomiche contemporanee, oggetto di manipolazioni estetiche ottenute tramite interventi di chirurgia plastica e ponendo in essere due differenti visioni della bellezza, quella classica e quella contemporanea, intrisa di superficialità, con un corto circuito spazio temporale profondo, ma nell’immediato non facilmente percettibile, con un procedimento che si inoltra verso la dimensione ibrida del “postumano”.
I lavori del periodo più recente possono apparire assai distinti come esiti , virando in maniera decisa verso l’aniconicità, ma in realtà rappresentano una prosecuzione della medesima linea di ricerca, in direzione di una essenzializzazione formale.
L’arte persiana classica è sempre la forma primaria di ispirazione, ma la dimensione figurativa viene temporaneamente abbandonata, ritenendo l’artista fosse ormai completo il progetto che prevedeva la trasposizione contemporanea del canone di bellezza raffigurata nella miniatura.
La raffinatezza dei tratti, la dimensione simbolica e spirituale della composizione, virano verso il linguaggio premoderno e post-moderno dell’astrazione, l’armonia e la minuziosità del dettaglio si liberano da gabbie compositive per esprimersi nella rarefatta passionalità del colore e del ritmo visivo.
Un ritmo di tonalità primarie indirizzato in direzione di un’astrazione distante dalla gabbia geometrica primo novecentesca, verso un anti-forma organicista, che ha nella duttilità dell’elemento acquatico il suo elettivo punto di riferimento.
Edoardo Di Mauro, aprile 2023.